Bernardino Campi (Reggio Emilia 1520/22 – 1591
Controversa il luogo e la data di nascita. Alcune fonti gli attribuiscono i natali a Cremona. Comunque pur operando a Cremona non sembra imparentato con i Campi famiglia di pittori di quella città.
Dopo gli esordi come orefice nella bottega paterna si trasferisce a Mantova in quella di Ippolito Costa, attivo nella cerchia di Giulio Romano.
Con il ritorno a Cremona nel 1541 comincia a lavorare in proprio con gli affreschi andati perduti di casa Trivulzio a Formigara: Storie di Minerva, Battaglia navale. Assalto ad una fortezza. Lavori che gli consentirono una precoce fama.
Appena dopo esegue la decorazione della Ante del Duomo di Alba su disegno di Giulio Campi.
Del 1542 è la Assunta per la chiesa di Sant’Agata a Cremona ed il compimento del ciclo di Affreschi per la chiesa di San Bassano a Pizzighettone, tra cui l’enorme Crocifissione della facciata interna.
Nel 1548 realizza la Madonna in trono e santi, oggi visibile nella Pinacoteca di Cremona.
Questi primi lavori fanno intendere la ricchezza dei richiami stilistici e formali che vanno ricondotti agli insegnamenti di Giulio Campi, Giulio Romano, del Parmigianino, del Primaticcio, fino alla considerazione rivolta a Camillo Boccaccino.
Bernardino sviluppa, secondo il Longhi, queste suggestioni con un temperamento più addolcito e cristianizzato.
La vicinanza con il Boccaccino si rivela negli affreschi della volta della cappella dei Santi Filippo e Giacomo nella chiesa di San Sigismondo a Cremona, grazie proprio all’interessamento del Boccaccino di cui può forse utilizzare idee e disegni.
Sembra comunque che Bernardino Campi al suo tempo sia considerato sopratutto come ritrattista, anche se non rimangono molte tracce del suo lavoro.
Oltre agli inserti di ritrattistica nei dipinti sacri, solo alcuni dipinti appartengono a questa prestigiosa categoria di dipinti. Il ritratto di Prospero Quintavalle, oggi in collezione olandese e realizzato prima del 1557. Il ritratto di Francesco Sfondrati del Museum of Fine Arts di Boston ed un Ritratto di donna oggi al Metropolitan Museum di New York.
Un riflesso dell’importanza della ritrattistica nella produzione del Campi si può valutare nella produzione pregevole di Sofonisba Anguissola, sua allieva sin dal 1546.
A Milano opera a lungo e con successo ed oltre ad alcuni affreschi e ritratti in case private rimangono solo qualche pala d’altare. La Trasfigurazione destinata alla chiesa di Santa Maria della Scala ed oggi nella chiesa di San Fedele. La Vergine con il Bambino e santi nella chiesa di Sant’Antonio Abate, entrambe le opere datate 1565.
La Deposizione del 1573 nella Pinacoteca di Brera. La Assunzione nella chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia.
Intorno al settimo decennio del secolo Bernardino Campi esegue la grande Crocifissione su tavola, per la scuola dei Genovesi a Milano su impulso di Tommaso di Marino effigiato ai piedi della croce. L’opera per merito di Federico Zeri va riconosciuta nella tavola della badia di Fiesole in deposito dagli Uffizi.
Nel lavoro del Campi sembra di scorgere una forte suggestione di carattere fiammingo romanistico, che lo Zeri riconduce alla presenza a Cremona di Frans Floris, durante il viaggio in Italia.
La ricerca pittorica di Bernardino Campi è comunque lontana dai coevi esempi in chiave naturalista di Antonio e Vincenzo Campi. Sembra attestarsi in una singolare sperimentazione in cui si sommano le eleganti raffinatezza manieristiche di derivazione parmense con la tagliente e lucida verità di tradizione fiamminga.
La frequentazione dei Gonzaga deve avere contribuito a questa formula stilistica in quanto i duchi di Mantova, prediligevano il capzioso gusto classicista.
Nel 1560 Bernardino rinuncia alla commissione per le ante del duomo di Milano ed accompagna a Mantova il marchese di Pescara, per cui esegue le undici copie dei Cesari di Tiziano, con l’aggiunta personale del busto di Domiziano.
Negli anni successivi il pittore esegue altre quattro copie dei Cesari, per richieste di vari committenti.
Nel 1567 Affresca il Castello Trivulzio, poi Trecchi a Maleo. Nel 1568 esegue per il marchese di Sabboineta Vespasiano Gonzaga, la Santa Cecilia.
Nello stesso anno di reca a Genova.
Con il rientro in patria dopo il soggiorno milanese e diversi viaggi, inizia una intensa attività per le chiese di Cremona e dintorni.
Nel 1568 per la chiesa di San Sigismondo dipinge la Santa Cecilia e Santa Caterina,
San Girolamo e Sant’Antonio, San Filippo e San Giacomo. Nello stesso anno realizza la Natività per la chiesa di San Michele.
Per il duomo nel 1569 dipinge sei tele ed un affresco nel coro con l’Ingresso di Cristo in Gerusalemme del 1573. Tra il 1575 ed il 1576 realizza due pale per la chiesa di Santa Maria della Croce in Crema ed altre due per i marchesi Stampa di Soncino.
Nel 1570 esegue l’impresa più rilevante con l’affresco del tiburio nella chiesa di San Sigismondo con la Gloria del Paradiso. Nella medesima chiesa appaiono anche du Profeti realizzati nel 1554, il fregio con Putti lungo la navata e le Grottesche nella volta.
Nel 1571 su richiesta di Niccolò Lecco esegue gli Affreschi nella cappella del Sacramento per la chiesa parrocchiale di Caravaggio.
Nel 1577 il priore della Certosa di Pavia, il quale aveva già commissionato a Bernardino il completamente dell’Assunta lasciata incompiuta dal Solario, gli da l’incarico per la decorazione dell’oratorio del castello di San Colombano al Lambro, proprietà dei Certosini. Con la demolizione dell’oratorio avvenuta nel 1846 sopravvive solo la Crocifissione sempre nella parrocchiale di San Colombano ed alcuni frammenti di affreschi, Cena in casa di Simone, Cristo e la Maddalena. Altri brandelli sono la Deposizione nel castello di Belgioso e delle Lesene decorative nella Pinacoteca di Brera.
In San Colombano Bernardino Campi, soggiorna diverso tempo, almeno fino al 1581, anche perché la moglie possiede diversi beni e forse una casa.
In questo lasso di tempo si pone la pala con l’Orazione nell’orto oggi visibile nel Museo Civico di Pavia e forse al tempo realizzata per la chiesa dei Cappuccini di Melegnano. Evidente è la relazione con il Cristo nell’orto di Antonio Campi datata 1581, visibile nella Pinacoteca Arcivescovile di Milano.
Nel 1582 Benedetto Campi risulta al servizio di Vespasiano Gonzaga Colonna a Sabbioneta, dove coordinata un folto stuolo di artisti intenti ad abbellire ala piccola capitale.
L’opera del Campi si svolge sia nella Palazzo Ducale che nel Palazzo del Giardino, dove nonostante il deperimento di grande parte delle decorazioni possiamo ritrovare nel pittore una rinnovata vitalità. Come negli affreschi di Diana e Endimione nel Gabinetto di Diana ed il Fregio nella sala degli Equestri, entrambi nel Palazzo Ducale e soprattutto nel Gabinetto di Venere con la Venere e le suggestioni della sala degli specchi con il Soggiorno in campagna, la Passeggiata, l’Imbarco, la Caccia, tutti lavori visibili nel Palazzo del Giardino.
Nel 1587 la situazione si ripete alla corte del duca di Guastalla Ferrante II Gonzaga. La nuova esperienza si dimostra però meno felice per la aperta ostilità degli uomini di corte e per la continua assenza del duca e della moglie Vittoria Doria. Bernardino Campi esegue le Storie di Ercole e le Storie di Troia, andate perdute e la sesta serie dei Cesari di Tiziano.
Interessante è l’intervento di Bernardino Campi, Parere sopra la pittura, in appendice al Discorso pubblicato dal Lamo. Dallo scritto si deducono i procedimenti lavorativi dell’artista ed in particolare la consuetudine di realizzare dei modellini in cera per studiare le figure, le luci e gli scorci.
Nel 1589 i canonici della chiesa di San Prospero a Reggio affidano al Campi i due affreschi del coro della cappella maggiore con la Caduta di Jezabele e la Resurrezione del figlio della vedova di Naim, ancora presenti oggi.
Pur non apparendo entusiasti per i lavori eseguiti i canonici gli affidano anche il completamento degli affreschi della cappella maggiore. Appena ad inizio del nuovo cantiere Bernardino Campi muore il 18 agosto 1591 e viene sepolto nella stessa chiesa.
Il pittore lascia una figlia che sposa il suo allievo G.B. Trotti detto il Malosso. La donna che aveva sposato Anna Longaroni, rimasta vedova si ritira a San Colombano, la quale è ricordata con grande tenerezza in una lettera dalla Spagna del 1551 da Sofonisba Anguissola. Oltre alle sorelle Anguissola, ha come allievo il Malosso che eredita la bottega cremonese del maestro fin dal 1574, A. Mainardi detto il Chiaveghino e come testimoniato da un documento milanese del 1550 Raffaele Crespi, padre di Giovane Battista Crespi detto il Cerano.
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