Martini Arturo

 

ARTURO MARTINI (Treviso 1889 – Milano 1947)

Terzo di quattro figli frequenta con poco successo la scuola per poi  nel 1901 entrare come apprendista in un laboratorio orafo. Si iscrive ad una scuola di ceramica e frequenta la Fornace Guerra Gregorj in cui impara l’arte del modellare.

Comprende che la scultura può costituire un senso alla sua vita e si avvicina allo studio dello scultore Antonio Carlini di Treviso per frequentare in contemporanea il primo anno dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Nelle varie tecniche sperimentate inventa un processo incisorio di tipo calcografico che chiama cheramografia. Questo episodio suggerisce una precoce analisi dell’uomo che non si adagia passivamente agli studi ma è portato ad innovare secondo una sensibilità straordinaria ed un carattere deciso in cui si intravede già il suo incontenibile genio.

A questo periodo vanno ricondotte le sue prime opere conosciute come il Ritratto di Fanny Naso Martini in terracotta del 1905 ed il Busto del pittore Pinelli. Entrambi i lavori si rifanno alla scultura di stampo verista della fine Ottocento.

Nel 1908 partecipa alla prima edizione delle esposizione di Cà Pesaro a Venezia, in cui presenta la piccola scultura dal titolo Il Palloncino.

Incontentabile, curioso ed attento alle novità dei movimenti a livello internazionale nel 1909 si traferisce a Monaco alla scuola di Adolf von Hildebrand per poi approdare per alcuni mesi nel 1912 a Parigi. Nella capitale francese incontra il fenomeno del Cubismo e delle avanguardie fino ad arrivare ad esporre al Salon d’Automne.

Nel 1914 Martini è a Roma in occasione dell’Esposizione Libera Futurista Internazionale dove espone il Ritratto di Omero Soppelsa, in cui l’artista si esprime rispettando i canoni del Futurismo ottenendo l’invito di collaborare con la rivista futurista L’Eroica che si dedica ai temi dell’arte e della letteratura con una predilezione particolare per la tecnica della xilografia. 

Altre opere realizzate prima della grande guerra sono La Prostituta, terracotta dipinta datata intorno agli anni 1910/1913, il Vaso Fiaba del 1911 e La Fanciulla piena d’amore, maiolica dorata del 1913, Il Buffone datata 1914.

La grande guerra lo coglie nel pieno del suo travaglio artistico ed anche arruolato si distingue per la sua indole irrequieta tanto da convincere il colonnello del suo reggimento di artiglieria di farsi trasferire in una fabbrica di munizioni per mettere a punto una nuova arma che aveva in progettazione. L’invenzione si trattava di una bomba in terracotta ripiena di biglie di vetro che con l’esplosione avrebbero scagliato schegge acuminate tutto intorno.

La destinazione prescelta è lo stabilimento metallurgico di Vado Ligure. Non riesce a dare corso alle sue idee, ma si deve accontentare di operare come operaio metallurgico per il resto della durata della guerra.

Alla sera è sua consuetudine recarsi in una piccola osteria del paese per mangiare ed incontrare la moltitudine variegata degli scaricatori del porto con cui discute animatamente del conflitto, della vita e soprattutto di arte. Ad ascoltarlo c’è la giovane figlia del proprietario che osserva quell’uomo che arrivava da lontano, con l’accento straniero e gli occhi avidi di vita ed i due si innamorano. Nel mese di aprile del 1920 Arturo Martini sposa a Vado Ligure la cameriera dell’osteria Brigida Pessano con cui nel tempo avrà due figli: Maria Antonietta nata nel 1921 ed Antonio nato nel 1928.

Il giovane Martini si stabilisce definitivamente nel piccolo paese ligure. Non desidera tornare a Treviso che gli aveva portato solo fame e sofferenze mentre a Vado oltre all’amore è sicuro di ritrovare gli stimoli per proseguire il suo percorso di artista, che in fondo era la cosa che più gli interessava nella vita.

Escono i primi abbozzi del libro Contemplazioni, in cui al posto del testo riproduce una sequenza di segni geometrici.

Ricomincia a produrre opere come, tra le altre,  Fanciulla verso sera del 1919, La pulzella d’Orleans del 1920, Gli amanti, Il poeta Checov del 1921,  Il Dormiente, L’amante morta, Busto di fanciulla e Orfeo scultura in pietra del 1922 e nel 1923 Vado Ligure premia la presenza dell’artista di cui ne riconosce il genio con la commissione del Monumento ai Caduti, inaugurato nel 1925. Opera fondamentale per l’originalità dell’impianto e che rappresenta per l’uomo e l’artista il trampolino di lancio per una carriera ricca di prestigio ed anche di forti delusioni.

Tra il 1918 ed il 1922 collabora alla rivista di Mario Broglio, Valori Plastici di cui elabora le tematiche in chiave personale.

Valori Plastici è definibile come quel movimento della cultura artistica italiana che va dall’esperienza metafisica ferrarese di de Chirico e Carrà al nascere dell’esperienza sarfattiana di Novecento. Le concezioni del movimento si distinguono da un più generale Ritorno all’Ordine di stampo europeo. Si ricerca il classicismo o meglio l’italianismo artistico, da parte di chi aveva attraversato il rumore futurista ed il silenzio metafisico, lontani dagli idilli mediterranei di Picasso o dall’Ode alle colonne di Paul Valery in ambito letterario.

Il terreno comune in cui si incontrano i fautori di Valori Plastici è completamente italiano che esclude ogni residuo simbolista, romantico e lirico per accogliere unicamente uno stile, un linguaggio con regole formali semplici ispirate al classicismo antico o addirittura ad una sorta di arcaismo della struttura.

Al gruppo centrale di Giorgio de Chirico, Alberto Savinio e Carlo Carrà si affiancano Ardengo Soffici, Filipo de Pisis, Emilio Cecchi, Giuseppe Raimondi, Giorgio Morandi e molti altri.

Nel 1925 Arturo Martini espone alla III Biennale Romana e nel 1926 partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia che lo aveva in precedenza rifiutato.

Sempre nel 1926 espone alla prima mostra di Novecento   movimento aggregatosi intorno alla figura di Margherita Sarfatti, critica d’arte ed intellettuale di origine ebraica, nella sua casa di corso Venezia a Milano.

Il movimento estremizza i concetti già espressi da Valori Plastici e teorizza un Ritorno all’Ordine di stampo classicista che superi le considerazioni delle avanguardie di inizio secolo.

Nel 1927 inaugura una mostra personale alla Galleria Pesaro di Milano. 

Nel 1929 alla seconda edizione della mostra Novecento, Martini presenta la scultura Il Figliol Prodigo, opera realizzata in gesso e successivamente in bronzo nel 1926.

Tra il 1928 ed il 1929 realizza alcune opere che sono la sintesi tra l’antico e la visione moderna come La Pisana, Il Bevitore e la monumentale Tomba di Ippolito Nievo. Nel 1929 gli viene concessa la cattedra di plastica decorativa all’ISIA di Monza dove rimane fino all’anno successivo.

In quegli anni di grande impegno realizza Il Buon Pastore opera in legno del 1925, Il Chirurgo del 1927, L’arca di Noè sempre del 1927, La Madre tra il 1929 ed il 1930, Donna al sole, scultura in terracotta nel 1930.

Nel 1930 ottiene di potere allestire un laboratorio con forno presso l’Ilva Refrattari di Vado per potere plasmare opere importanti senza doverle trasportare.

Hanno origine Il Pastore, Il Ragazzo seduto del 1930, Il Sogno del 1931, Aviatore del 1931, Chiaro di Luna, Sport Invernali tra il 1931 ed il 1932, La Convalescente del 1932, Giuditta ed Oloferne del 1932 circa, Venere dei porti del 1932, La Forza e gli Eroi tra il 1933 ed il 1934, Vittoria alata nel 1934.

Nel 1931 ottiene alla Prima Quadriennale di Roma un premio di centomila lire che gli permette di risolvere temporaneamente diversi problemi finanziari che lo avevano sempre angosciato.

Negli anni a venire ottiene un successo vasto partecipando in diverse edizioni alla Biennale di Venezia, in cui nel 1932 ha una sua sala personale, alla Triennale di Milano ed alla Quadriennale di Roma. Tra le altre opere: La fede e la luce fusione in bronzo del 1934, La sete in pietra di Finale del 1934, I morti di Bligny trasalirebbero del 1935/1936, La giustizia marmo per il tribunale di Milano del 1936/1937, Il gruppo degli Sforza del 1938/1939 per l’Ospedale Niguarda di Milano, Statua della Minerva, Monumento ad Irina Lukaszewicz del 1941 per il cimitero Monumentale di Milano.

Dal 1942 al 1944 insegna scultura all’Accademia di Belle Arti e prova molto scandalo la revoca della cattedra nel 1945 per l’accusa di avere aderito al fascismo.

Si giustifica con l’asserzione che siccome moriva con il giolittismo aveva creduto in chi gli dava da mangiare e cioè il fascismo.

Sono di questi anni conclusivi il Sacro Cuore di Cristo Re bassorilievo in bronzo per l’omonima chiesa di Roma, Tuffo di nuotatrice del 1942, Monumento a Tito Livio del 1942, Atmosfera di una testa del 1945, Palinuro del 1946/1947 per l’Università di Padova e Donna distesa.

Muore a Milano il 22 marzo del 1947 colpito da paralisi cerebrale.

Opere di questo artista: