Camillo Procaccini. La bottega tra innovazione e tradizione nella Milano di inizio Seicento.

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Camillo Procaccini. La bottega tra innovazione e tradizione nella Milano di inizio Seicento.

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CAMILLO PROCACCINI. LA BOTTEGA TRA INNOVAZIONE E TRADIZIONE NELLA MILANO DI INIZIO SEICENTO.

Nasce a Parma il 3 marzo 1561 da Ercole Procaccini il Vecchio e dalla seconda moglie di quest’ultimo. Cresciuto nella bottega del padre pittore, all’età di dieci anni risulta già iscritto all’Arte dei bombasari e dei pittori di Bologna, città di origine della famiglia. Ercole a sua volta pittore affermato, risulta secondo il Lomazzo inizialmente a bottega con Prospero Fontana, anche se più vecchio di soli otto anni.

La prima opera conosciuta è il San Giovanni Battista alla fonte del 1577, oggi visibile presso la Galleria Estense di Modena, che risulta ispirata dallo stile di Raffaello, di Michelangelo e di Pellegrino Tibaldi.

Nel 1583 licenzia l’Assunta per la chiesa dei Santi Gregorio e Siro a Bologna. Nello stesso anno sembra che gli nasca un figlio dalla moglie Francesca dell’Oglio, i quali però non sono più documentati negli anni a venire.

Decisivo per la carriera del giovane artista è il rapporto con il cardinale Gabriele Paleotti, figura di spicco nella stagione della controriforma e nella applicazione delle convenzioni alle arti figurative.

Nel 1582 pubblica infatti il celebre Discorso intorno alle immagini sacre e profane, che detta esattamente i principi a cui si dovevano attenere gli artisti a seguito del Concilio di Trento.

Il volume ha una notevole diffusione negli ambienti religiosi ed artistici di tutta Italia e non solo. A Bologna sono i cugini Carracci, a farsi promotori delle nuove istanze, cercando di abbandonare i canoni tardi della maniera per abbracciare modi stilistici in grado di  reggere il passo con i tempi e con le esigenze del culto.

Lo stesso Camillo è coinvolto nel cambiamento, il quale diverrà un tratto essenziale del suo lavoro nel proseguo della formidabile carriera.

Tra il 1584 ed il 1585 esegue le decorazioni a fresco delle Storie di San Pietro nel presbiterio, nella cripte e nella cappella del Palleotti all’interno della cattedrale di Bologna. Lavori eseguiti in collaborazione con Bartolomeo Cesi e di Giovanni Battista Cremonini. Di questo ultimo lavoro non è rimasto nulla, mentre degli altri due lavori solo pochi brani frammentari.

Ancora nel 1584 esegue l’Adorazione dei pastori per la cappella Ghisleri nella chiesa di San Francesco, oggi alla Pinacoteca Nazionale di Bologna ed entro il 1585 la Pala d’altare perduta per la villa di campagna del naturalista Ulisse Aldrovandi.

Sono noti, per delle immagini di inizio Novecento, gli Affreschi perduti della chiesa di San Clemente nel Collegio di Spagna a Bologna e databili tra il 1582 ed il 1585. La cui impronta monumentale si riporta all’ambiente bolognese di Bartolomeo Cesi e Bartolomeo Passerotti.

Tra il 1585 ed il 1587 è impegnato negli Affreschi del presbiterio della chiesa di San Prospero a Reggio Emilia. Nel Giudizio finale del catino absidale, Camillo si esprime con una autonomia senza precedenti, innescando i modi di Federico Zuccari con una personale e ricca vena creativa. Tutto il ciclo è di mano di Camillo, tranne due brani eseguiti da Bernardino Campi.

Contemporaneamente esegue la tela con il San Rocco che comunica gli appestati già alla Gemaldegalerie Alte Meister di Dresda ed andata perduta nei bombardamenti del 1945. Del lavoro si conosce una stampa dallo stesso titolo San Rocco che comunica gli appestati, del 1757c. Conservata al Museo di Capodimonte di Napoli. In origine la tela era sistemata nell’Oratorio di San Rocco a Bologna e faceva da contraltare all’Elemosina di San Rocco, eseguita del 1595 da Annibale Carracci, scampata alla distruzione ed oggi ancora visibile alla Gemaldegalerie Alte Meister di Dresda.

In conseguenza di questi incarichi prestigiosi gli artisti attivi a Reggio Emilia, invitano Camillo Procaccini a dirigere la locale Accademia di pittura e scultura.

Nel 1587 invece l’artista lascia incompiuti gli affreschi già citati per la chiesa di San Prospero proprio a Reggio Emilia, per accettare l’invito a Milano del conte Pirro I Visconti Borromeo, che sembra abbia accompagnato in precedenza anche in una viaggio a Roma.

Dopo la vicinanza a Bologna con il cardinale Paleotti che lo impronta ad uno stile assai difforme da quello del padre, legato ancora alla pura tradizione manierista, l’incontro con il notabile milanese lo induce ad ulteriori importanti sviluppi stilistici, ridonando al giovane quella libertà espressiva che nel capoluogo emiliano doveva in qualche modo reprimere.

Il giovane Camillo si allontana dall’influenza diretta del padre, che comunque lo segue a Milano e dalla tradizione strettamente manierista che ciò comporta e lascia campo libero ai Caracci che si affermano incontrastati sulla piazza bolognese.

Camillo Procaccini è impegnato già nel 1587 nella villa di Pirro I, oggi conosciuta come Villa Borromeo Visconti Arese Litta di Lainate.

La villa è conosciuta come di una delle più interessanti residenze nobiliari edificate nei secoli scorsi nel milanese. E’ divenuta celebre, oltre che per gli interni, anche per la straordinaria varietà di mosaici, statue, affreschi, fontane e giochi d’acqua che ornano il giardino ed il ninfeo.

Il conte Pirro I Visconti Borromeo, a cominciare dal 1585, raduna intorno a sé una pletora di artisti del tempo.

Camillo Procaccini interviene nella più antica campagna di decorazione degli ambienti. Prima dedicandosi ai soffitti del Ninfeo tra il 1587 ed il 1589 e quindi agli affreschi delle sale cinquecentesche del palazzo, insieme ad i meno noti Agostino Lodola e Giovan Battista Maestri detto il Volpino, tra il 1591 ed il 1593.

Il giovane pittore incoraggiato dal conte Pirro I, padrone di casa e dal suo consulente, l’artista e storiografo Giovanni Paolo Lomazzo, diviene il vero e proprio regista dell’apparato decorativo delle grotte del ninfeo. Progetta l’intero impianto costituito da stalattiti, pietre, grotte e conchiglie in grado di ospitare la ricca e colta collezione del conte, con statue, fossili, minerali, monete, reliquie, strumenti meccanici e reperti archeologici.

Al Correggio sembrano ispirate le figure mitologiche come satiri, fauni e ninfe arricchite da un ricco bestiario di animali esotici che si intrecciano con essenze arboree rampicanti, che tradiscono lo stretto contatto avvenuto in patria, con il naturalista Ulisse Aldrovandi, a cui nel 1585 ha dipinto una pala d’altare per la villa di campagna,  purtroppo andata perduta.

Sul soffitto degli ambienti del ninfeo sperimenta una tecnica innovativa con dei ciottoli di fiume bianchi e neri, sistemati sull’intonaco ancora fresco e quindi dipinti con colori a tempera, ottenendo un effetto spettacolare ed insolito. 

Nelle sale al piano terra della villa, Camillo prevede una vasta scenografia

realizzata con la Pittura a fresco.

Nel Mercurio e nella Fortezza, il pittore evidenzia la sua formazione bolognese, manierista che in Michelangelo il riferimento certo, rappresentando le figure ritratte dal basso verso l’alto scorciate mirabilmente. Il gusto del committente che coincide con quello dell’epoca,

permette a Camillo di sbizzarrisci in un repertorio di motivi a grottesca, vegetali e floreali arricchiti dalla presenza di putti, uccelli, animali fantastici e mostruosi.

Il fratello Carlo Antonio è chiamato negli stessi anni a dedicarsi a pitture parietali con scene di caccia e nature morte e paesaggi bucolici di matrice fiamminga, generi in cui eccelleva.

Negli anni a venire anche l’altro fratello Giulio Cesare ed i fratelli Nuovole saranno chiamati a lavorare nella villa, contribuendo ad una vera e propria rivoluzione stilistica della tradizione figurativa lombarda, ancora legata alla lezione geometrica del Bramantino.

L’esperienza lascia nel primo dei Procaccini un’impronta indelebile. Anche se legato a temi religiosi sottoposti ai vincoli della controriforma, continua il suo mestiere con un linguaggio sempre efficace e sciolto con toni cromatici soffusi e delicati che mostrano una sensibilità per il colore vicina al Correggio o a Federico Barocci.
A partire dal volgere del secolo per Camillo Procaccini si presenta una grande affermazione nell’ambito diocesano milanese, a cui non deve risultare estraneo lo stesso conte Pirro I Visconti Borromeo, influente membro del capitolo del Duomo.

Per i committenti ordini religiosi in cui spiccano i padri barnabiti ed in particolare il loro architetto padre Lorenzo Binago, la novità apportata in pittura da Camillo Procaccini deve essere evidente. Accanto alla facilità d’esecuzione del disegno, pratica a cui l’artista si dedica con passione, e che risulta indispensabile per promuovere i propri lavori, Camillo riesce a sostenere le proprie idee pittoriche, che si scontrano con le freddezze coloristiche di Giovanni Ambrogio Figino e l’eccesso di realismo proposto dai cremonesi Campi.

Trova un modo compositivo che unisce il decoro per le rappresentazioni con i virtuosismi pittorici, in cui figure mostruose e bizzarre si uniscono a brani paesaggistici di derivazione fiamminga.

Per almeno un decennio Camillo Procaccini appare il protagonista nella pittura e nella decorazione parietale, in un’ampia zona tra Lombardia, Piemonte, Venezia e la natia Emila.

Con l’inizio del Seicento ad affiancarlo sulla scena milanese si presentano il fratello Giulio Cesare Procaccini e soprattutto Giovani Battista Crespi detto il Cerano.

Entro il 1590 realizza l’Assunzione della Vergine, nella chiesa di San Francesco Grande a Milano  oggi conservata alla Pinacoteca di Brera e la Trasfigurazione per la chiesa di San Fedele e successivamente finita nella Collezione Borromeo dell’Isola Bella. Quest’ultima opera viene tradotta anche in incisione.

La Presentazione al tempio è stata concessa in deposito dalla Pinacoteca di Brera alla Pinacoteca Malaspina di Pavia.

In questa stagione fortunata e feconda Camillo sperimenta la tecnica dell’acquaforte la quale riesce ad esaltare le sue qualità di disegnatore puro. Dedica quattro stampe al tema del Riposo durante la fuga in Egitto.

Inoltre realizza a disegno delle Teste caricaturate, che rappresentano i soggetti preferiti e più ripetuti  nella stagione giovanile.

Invenzioni in grado di appassionare la cultura locale, tra cui il giovane esordiente Giovanni Battista Crespi detto il Cerano.

Lo stato delle anime del 1590 documenta Camillo senza moglie e convivente con i fratelli Giulio Cesare, Carlo Antonio ed il padre Ercole, dal quale solo l’anno successivo, ormai trentenne, ottiene l’emancipazione giuridica per potere incassare in proprio i proventi derivanti dalla sua attività.

Nel 1591 il pittore realizza il Martirio di Sant’Agnese per il Duomo di Milano, anch’esso inserito nella Collezione Borromeo dell’Isola Bella. Nello stesso anno avvia il ciclo dedicato alla Storia della Vera Croce a nella chiesa di Santa Croce a Riva San Vitale nel Canton Ticino,  terminato nell’anno successivo. Si compone di tre tele: la Leggenda della vera croce, la Sant’Elena porta la croce a Gerusalemme, ed Il ritrovamento della vera croce, oltre agli Affreschi nella volta della chiesa.

Nel 1592 la fama di Camillo Procaccini raggiunge l’apice sulla scena milanese, con l’incarico per la Decorazione di due ante per l’organo meridionale del Duomo di Milano, concluso nel 1595. Soprattutto nel brano con il Trionfo di Davide, il linguaggio della controriforma si mostra in una dimensione moderna ed innovativa, distante dalla tradizione manierista, dominante negli stessi anni in città.

Tra il 1594 ed il 1595 il pittore è impegnato con due cicli distinti di opere su tela per la chiesa di San Francesco a Tortona, gestita dai padri minori conventuali. Sono raffigurate nei riquadri della volta a forma rettangolare, storie del martirio di Sant’Agnese, mentre nelle vele sono inserite figure varie di profeti e di dottori della chiesa. Ancora nella volta e nel presbiterio sono presenti episodi della vita della Vergine.

Oggi l’intero ciclo è ospitato nella chiesa di Santa Giustina e Santa Agnese a Torre Garofali presso Tortona. Chiesa eretta tra il 1590 ed il 1595, per volontà della nobildonna Giustina Garofali.  Solo nel 1880 dopo la ristrutturazione e l’allargamento della chiesa le tele del Procaccini sono qu trasferite.

In particolare si tratta del Martirio di Santa Agnese collocata a livello parietale. Del Miracolo del lupanario sulla volta della navata, e dell’Apparizione di Santa Agnese ai parenti, ancor in alto più prospiciente all’ingresso.

Le restanti tele con il ciclo dedicato alla Vita di Maria ed alle figure di Profeti e dottori della chiesa sono inserite nei vari spazi della volta.

Tra il 1600 ed il 1602 i fabbricieri del Duomo gli affidano la realizzazione  di un’altra coppia di Decorazioni per le ante del Duomo.

Con la fine del Cinquecento si avverte nella produzione dell’artista un adeguamento figurativo in favore di un ritmo più severo e scontato, abbracciando in pieno i canoni pittorici controriformati tutelati da Federico Borromeo, arcivescovo di Milano.

Il posizionato verso formule creative ripetute giocando su determinate varianti, gli permettono di assestare la sua carriera per gli anni futuri, dando impulso ad una affermata e formidabile bottega, in grado di fare fronte alle forti richieste. Il nuovo corso in effetti era già stato imboccato da tempo. Ne sono testimonianza alcune commissioni ricevute ancora nel 1594, come la tela con gli Apostoli alla tomba della Vergine, nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Bergamo, non ancora terminata nel 1596 ed i Dipinti nella chiesa di Santa Maria di Campagna a Verbania, sul Lago Maggiore.

Nel 1595 Camillo Procaccini risulta sposato con Anna Pagani, da cui ha numerosi figli e che gli sarebbe sopravvissuta.

Sulla fine del secolo il pittore esegue gli Affreschi per il coro della chiesa di Sant’Angelo a Milano e nel 1597 ritorna a Reggio Emilia per completare i lavori nella basilica di San Prospero, ottenendo anche ulteriori incarichi nella città. Proprio di questo periodo fa fatto risalire il Matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria, oggi conservato nel Museo dei Cappuccini della stessa città.

Anche la Negazione di san Pietro ed il San Paolo, oggi presso la Banca Credem di Bologna, potrebbero essere stati dipinti in questo intervallo.

Nel 1600 viene saldata al pittore la Pentecoste nella chiesa dell’Ospedale Maggiore di Lodi e la versione sempre della Pentecoste, di poco precedente e di qualità maggiore, per il Duomo di Cremona. 

Tra il 1601 ed il 1602 Camillo esegue le Decorazioni per la sagrestia e la cappella di San Gregorio, nella chiesa di San Vittore al Corpo a Milano. Entro il 1603 realizza gli Affreschi per il sacello di San Giuseppe, nel Santuario della Madonna Addolorata di Rho.

Nel primo decennio del secolo è attivo a Piacenza, dove esegue nel 1604 la monumentale e concitata Strage degli Innocenti nella chiesa di San Sisto a Piacenza e tra il 1605 ed il 1609 realizza le Tele ed Affreschi per l’abside ed il presbiterio del Duomo di Piacenza. Al cantiere è presente anche Ludovico Carracci.

La Banca Credem di Bologna possiede uno dei due bozzetti ad olio in grisaille della Morte della Vergine per l’altare maggiore della Cattedrale.

Sempre tra il 1605 ed il 1607 è documentata una grande produzione da parte della bottega.

Tra il 1605 ed il 1606 licenzia le quattro tele dedicate alla Madonna, per la cappella dell’Immacolata nella chiesa di San Francesco a Lodi. La Nascita della Vergine, la Morte della Vergine, Presentazione di Maria al tempio e l’Assunzione della Vergine.

I quattro dipinti sono eseguiti su commissione della locale Scuola della Concezione. Nonostante i lavori di ristrutturazione del 1754, le cronache del tempo riferiscono l’assetto dell’antica cappella risalente al 1606.

Un ricco apparato di stucchi bianchi con figure e dettagli dorati, dominavano l’ambiente. Nei quattro pennacchi Dodici angeli erano stati dipinti su di uno sfondo azzurro, con atteggiamenti e distribuiti a gruppi di tre per ogni pennacchio.

Le quattro tele circondate da stucchi bianchi e dorati erano accompagnate da  statue anch’esse in stucco. Gioacchino e Anna, Giuseppe ed Elisabetta e gli arcangeli Gabriele e Raffaele. L’autore citato per l’intero complesso pittorico è Camillo Procaccini.

Nell’ultimo decennio del Cinquecento il pittore lavora per la chiesa di Sant’Angelo a Milano, anch’essa retta dai frati dell’Ordine dei Minori Osservanti. Inoltre nello stesso torno d’anni, Camillo è impegnato in un ciclo di tele dedicate alla Vita della Vergine, per la confraternita dell’Immacolata nella chiesa di San Francesco Grande, sempre a Milano.

I precedenti del pittore bolognese al cospetto dei confratelli hanno sicuramente deposto in favore anche per l’impiego a Lodi.

E’ assai probabile che l’intero impianto decorativo della cappella compresi gli stucchi, siano stati ideati e progettati sempre dal Procaccini, al fine di rendere l’insieme organico e funzionale alle tele dipinte.

Già nel transetto della chiesa di San Vittore al Corpo, l’intesa tra pittore e plasticatori risulta evidente, con i disegni forniti dall’artista bolognese.

Nel catalogo Camillo Procaccinni, Paintings and Drawings del 1979 di N. Ward Neilson, a cui si deve l’impianto iniziale degli studi sul Procaccini, compare un disegno di sua mano che dimostra come si fosse occupato anche della progettazione degli stucchi, che incorniciavano i dipinti.

Infatti per la cappella della Concezione nella chiesa di San Francesco Grande, lo stuccatore Giovan Battista Pagano si attiene ai disegni forniti da Camillo e dal padre Ercole.

A questo punto è interessante ricostruire i modelli iconografici che stanno alla base dei vari dipinti. Le due tele con la Presentazione al tempio  e l’Assunzione, pur non essendo innovative nella composizione, contribuiscono a chiarire le modalità operative del pittore e la presenza di modelli consolidati nella bottega. Per la Presentazione al tempio, si può risalire agevolmente all’affresco ed al relativo disegno preparatorio di Prospero Fontana, per la cappella del Legato nel palazzo comunale di Bologna del 1562, ai tempi della legazione di Carlo Borromeo.

Le fattezze anatomiche e le gestualità sono chiari riferimenti michelangioleschi di derivazione manierista, propri della visione figurativa emiliana della metà del Cinquecento, che vede protagonisti Pellegrino Tibaldi e lo stesso Fontana, che andranno ad influenzare anche Ercole Procaccini, padre di Camillo.

Questi modelli sono variamente ripresi dal Procaccini fino ad entrare nelle sue creazioni ricorrenti, a partire dalla prima in ordine cronologico che è la Presentazione al tempio, oggi conservata presso la Pinacoteca Malaspina di Pavia, destinata originariamente alla chiesa di  San Francesco a Milano e databile negli anni 1591/1594.

La tela di Pavia anticipa i bozzetti del 1601 oggi alla Galleria dell’Accademia di Venezia, per il coro del Duomo di Milano, raffiguranti appunto la Natività e la Presentazione al tempio.

Un secondo riscontro si ha nel dipinto nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Milano, eseguito tra il 1616 ed il 1619, il quale trova molti punti di contatto con la tela di Lodi ed in particolare nella costruzione spaziale con l’accentuato scorcio della scala.

Ultimo esempio di tale composizione è quella conservata nella Quadreria dell’ospedale Civile di Vigevano, collocabile tra il 1628 ed il 1629.

Camillo in questa ultima opera rivela come sia possibile, senza abbandonare le consuete formule organizzativa del proprio repertorio, rimescolare le carte e giungere ad una struttura in cui le figure primeggiano rispetto allo sfondo architettonico, con lo scopo di conformarsi alla dimensione quadrata della tela. 

Nel caso dell’Assunzione della Vergine, la relazione è tra quella di Lodi e la pala nella chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia a Milano. Il formato differente consente di variare la postura della Madonna, ma alcune soluzioni ulteriori coincidono. Il dipinto milanese è stato commissionato nel 1612 e collocato l’anno successivo, quindi risulta posteriore rispetto alla versione lodigiana. Nella parte inferiore di entrambe le tele, sono rappresentati gli apostoli in scala minore, intorno al sarcofago. La distribuzione delle figure tranne qualche variante minima, ripercorre la grande tela della chiesa di Santa Maria Maggiore a Bergamo, realizzata tra il 1594 ed il 1596, raffigurante gli Apostoli sulla tomba della Vergine. Il disegno conservato a Berlino, può essere considerato lo studio per tutte e tre le tele considerate.

Questo per significare come un modello compositivo messo a punto precocemente, possa essere utilizzato nel tempo ad integrazione di ulteriori scene complesse.

Risale al 1606 lo Sposalizio mistico di Santa Caterina nella chiesa parrocchiale di Castiglione delle Stiviere e la Madonna e santi già nella chiesa di San Domenico a Cremona, oggi nella chiesa parrocchiale di Isola Dovarese nel cremonese.

Nel 1607 conclude il ciclo dei Dipinti per la collegiata di Bellinzona.

Verosimibilmente risale al 1608 la serie di Telari con le Allegorie delle Province Sabaude, per Carlo Emanuele I di Savoia eseguite con il fratello Giulio Cesare, con Giovanni Battista Crespi detto il Cerano, con Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone e Giovan Mauro della Rovere detto il Fiamminghino.

A Camillo spetta l’Allegoria di Aosta, andata perduta e di cui rimane una documentazione grafica nella Biblioteca Reale di Torino.

Il benessere economico raggiunto grazie al talento ed all’attività perfettamente organizzata della bottega, lo porta nel 1605 ad acquistare casa nella parrocchia di San Calimero, dove l’artista risiede per il resto della vita.

Nel 1610 Camillo è impegnato negli apparati per i festeggiamenti per la canonizzazione di Carlo Borromeo, mentre nello stesso anno lavora ai Dipinti della cappella di San Diego d’Alcalà nella chiesa di Sant’Angelo  a Milano.

Nello stesso anno cade la Madonna e Santi della chiesa di San Tommaso a Piacenza oggi ospitata nella chiesa di San Sisto della stessa città.

Nella seconda metà degli anni Dieci del Seicento, esegue le Decorazione per le ante dell’organo della basilica di San Vittore al Corpo a Milano, e tra il 1615 ed il 1616 effettua gli Affreschi per la cappella dedicata alla Vergine nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Pavia. Per la chiesa della certosa di Pavia tra il 1616 ed il 1619 esegue le pale della Annunciazione e della Veronica.

Nel 1618 l’artista dipinge la Disputa tra Sant’Ambrogio e Sant’Agostino posizionato nel presbiterio della chiesa di San Marco a Milano, di fronte al Battesimo di Sant’Agostino del Cerano.

Nello stesso anno si occupa della Nascita della Vergine per la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Brescia.

La fama di cui Camillo gode nella provincia veneziana, in cui Brescia cade, è attestata anche dalle Tele per la cappella di San Carlo Borromeo nella chiesa di San Nicola da Tolentino a Venezia.

Nel 1619 lavora ancora per il duca di Savoia ed in particolare esegue alcune Tele per gli appartamenti di Cristina di Francia nel palazzo di San Giovanni a Torino, realizzate in collaborazione con il fratello Giulio Cesare.

Tra il 1620 ed il 1623 partecipa al ciclo delle eroine veterotestamentarie nella chiesa di Santa Maria di Canepanova a Pavia con le scene raffiguranti Maria sorella di Mosè e Rebecca al pozzo.

Della stessa alta qualità è il Martirio di San Bartolomeo datato 1622 e visibile al Museo Comune di Breno in Valcamonica.

Tra il 1623 ed il 1626 realizza la Crocifissione per la chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia e l’Assunzione al cielo della Vergine, sempre nella stessa chiesa. Tra il 1624 ed il 1625 realizza gli affreschi con gli Angeli musicanti per il coro della chiesa di San Paolo e Barnaba a Milano, e sempre per la stessa chiesa gli Affreschi per la volta della navata.

Nel Sacro Monte di Orta lascia due tele, una Natività ed un San Carlo Borromeo tra gli appestati.

Per la chiesa di San Marco a Novara dipinge la Presentazione della croce.

Nella chiesa di San Martino a Treviglio viene chiamato per una Assunzione ed una Annunciazione.

A completamento di una folgorante carriera il governatore spagnolo di Milano gli commissiona due Dipinti destinati alle Collezioni reali di Spagna, andati entrambi perduti.

L’ultima opera con tutta probabilità è l’Adorazione dei Magi, per la parrocchiale di Biumo Inferiore a Varese, che riporta la scritta Hic Camilli Procacini manus inclytae ceciderunt, Qui cadde la mano del famoso Camillo Procaccini.

Curioso è il Ritratto che rivela le severe fattezze del pittore, custodito al Museo Puskin di Mosca, di mano forse del fratello Giulio Cesare.

Tra il 1772 ed il 1778 il pittore Antonio Francesco Abuzzi, trae una incisione forse da un ritratto di epoca successiva.

Camillo Procaccini muore a Milano il 21 agosto 1629, probabilmente a causa della peste.

La bottega viene passata a Daniele Crespi, che a sua volta morirà di peste nemmeno un anno dopo , nel luglio del 1630.