Federico Borromeo, Lorenzo Binago, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Relazioni tra Milano e Roma all’inizio del Seicento (Pc10)

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Federico Borromeo, Lorenzo Binago, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Relazioni tra Milano e Roma all’inizio del Seicento (Pc10)

Federico Borromeo, Lorenzo Binago, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Relazioni tra Milano e Roma all’inizio del Seicento

La chiesa di Santa Maria in Vallicella, detta anche chiesa Nuova è la celebre sede dell’oratorio di San Filippo Neri.

Alla realizzazione risulta impegnato a titolo di consulente esperto padre Lorenzo Binago, il quale opera negli stessi anni anche nella chiesa della Santissima Annunziata a Zagarolo, a sud est di Roma.

La figura di Lorenzo Binago padre barnabita, è centrale nello sviluppo architettonico di molti luoghi posizionati soprattutto nelle attuali Lombardia e Piemonte e non solo, ed anche per le conseguenti committenze nei confronti dei più grandi pittori dell’epoca. A partire da Guglielmo Caccia detto il Moncalvo che beneficia della relazione, in moltissimi casi. Si può analizzare la figura del padre barnabita, nel podcast dedicato alla chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia di Milano.

Federico Borromeo, nipote di Carlo Borromeo, è molto vicino all’ordine barnabita proprio come lo zio. Dal 1597 è cardinale e nella città eterna partecipa, per iniziare, ai due conclavi del 1590, a quello del 1591 ed a quello del 1592.

La presenza continua a Roma del Borromeo e quella saltuario di padre Binago, aprono prospettive molto suggestive sui contatti tra i due importanti religiosi, l’ambiente papalino, l’Oratorio di San Filippo Neri situato nella chiesa di Santa Maria in Vallicella e l’enorme figura di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.

Negli anni tra fine Cinquecento ed inizio Seicento si deve avere fatto un grande parlare dell’artista lombardo presente a Roma. Le opere che via via andavano a nutrire il suo spettacolare catalogo e la sua provenienza milanese, non devono essere affatto sfuggite agli appassionati d’arte, ai collezionisti ed agli uomini di cultura in generale. Tantomeno ai Federico Borromeo ed Lorenzo Binago, sempre pronti a favorire la costruzione di nuove chiese ed a promuovere i migliori artisti sulla piazza.

Tra il 1597 ed il 1600 Caravaggio finalmente trova la tranquillità economica ed artistica, protetto e cullato dal cardinale Del Monte.

Pietro Vittrice, guardarobiere e maggiordomo di papa Gregorio XII, devotissimo a San Filippo Neri, detiene il giurispatronato della cappella che porta il suo nome sul lato destro della chiesa di Santa Maria in Vallicella. Con la ristrutturazione del luogo di culto iniziata nel 1588, Pietro si prende l’incarico quindi di ristrutturare la propria cappella nella struttura e nelle decorazioni.

Alla sua morte, avvenuta nel 1600, subentra nell’impegno il nipote Gerolamo Vittrice, anche se il suo livello devozionale farà rimpiangere quello dello zio. E’ lui che commissiona tra il 1601 ed il 1602 la Deposizione al Caravaggio. Non è un caso che i Vittrice si rivolgano proprio al celebre pittore. Sono legati da sempre agli ambienti vaticani ed agli ideali di religiosità popolare, proposti in ambito oratoriale da San Filippo Neri. Gli stessi criteri di proselitismo coincidono con quelli borromiani e barnabiti, che il pittore lombardo aveva avuto modo di assorbire in patria e che sapeva tradurre così efficacemente in immagini. A suo modo.

Poco propenso alla idealizzazione dei personaggi rappresentati, la Deposizione fin dall’inizio gode assoluta considerazione da parte della critica. Perfino il pittore Giovanni Boglione la considera il suo capolavoro assoluto, almeno fino a quel momento.

La pala che si trova nel lato destro della chiesa di Santa Maria in Vallicella, nel 1797 viene requisita dai francesi per esporla nel Museo Napoleone di Parigi ed è di fatto l’unico dipinto sottratto del Caravaggio. Restituita nel 1817 entra a fare parte della Pinacoteca Vaticana, nelle sue diverse dislocazioni fino a quella attuale risalente al 1932 sotto papa Pio XI.

La Deposizione è considerata, tra tutte le opere del maestro, la più classica. Legata con maggiore forza alla tradizione ed ai suoi modelli.

Egli è un formidabile innovatore che riesce con il suo lavoro a fare saltare la gerarchia dei generi pittorici, tanto da sostenere “Tanta manifattura è fare un quadro buono di fiori come di figure”.

E’ il primo ad utilizzare la luce come elemento rivelatore, in grado di svelare la realtà visibile. Quasi una chiave per evidenziare il vero a dispetto dell’oscurità omertosa che nasce nel gioco tra luce ed ombra.

La sua rivoluzione, in questo caso, si basa però su riferimenti stilistici ben noti come la citazione del bellissimo nudo che è posto sulle ginocchia della Vergine nella Pietà di San Pietro, scolpita dal Buonarroti, più di un secolo prima. Artista con cui condivide anche il nome di battesimo.

Il titolo con cui l’opera è conosciuta non è propriamente corretto. L’episodio descrive in realtà il rito giudaico che precede l’inumazione vera e propria, e che prevede di appoggiare il corpo su di una grande pietra per potere procedere con dedizione a lavare ad ungere ed a profumare i resti mortali.

Non si tratta quindi di una lastra tombale, ma del letto marmoreo destinato ai riti funebri, che in latino veniva chiamato “lapis untionis”.

Gli oratoriani di San Filippo Neri, all’inizio del Seicento si presentano come un ordine nuovo conforme allo spirito della Controriforma. La loro missione si rivolge prevalentemente ai ceti popolari e borghesi, praticando una religiosità riflessiva e personale in grado di attirare i giovani, gli intellettuali e gli artisti. Tra questi ultimi spicca appunto il Caravaggio.

Nella scena compare in primo piano la figura di  Nicodemo, che regge per le gambe il corpo di Cristo. IL giudeo misericordioso che schiodò Gesù dalla croce e che lo pose nel sepolcro, volge lo sguardo verso lo spettatore con il volto che ha tutte le caratteristiche di un ritratto.

Alcuni ritengono che si tratti del viso di Pietro Vittrice, in omaggio alla sua memoria. Altri studiosi ritengono possa trattarsi del ritratto stesso di Michelangelo. In questo ultimo caso avremmo a che fare con una citazione colta, in quanto lo stesso pittore fiorentino si era raffigurato come Nicodemo nella Pietà Bandini.

Alle sue spalle i testimoni della passione con la Madre sconvolta dal dolore, Maria Maddalena che ha consumato tutte le sue lacrime. Giovanni Evangelista che sembra cercare un contatto ultimo con il corpo del Signore.

Tra tutte le figure spicca per drammaticità Maria di Cleofa, la quale alza le braccia al cielo disperata e lancia un urlo sommesso. Questa immagine cosi efficace, sarà di riferimento per molti artisti nei secoli. Anche Picasso sembra citarla secoli dopo.

La vera silenziosa protagonista della scena è però la pietra. La lastra marmorea che volge l’angolo verso lo spettatore, richiama il Salmo 118.

“La pietra scartata dal costruttore è diventata testata d’angolo”.

Nell’occasione è Cristo la pietra scartata della storia. Con la morte sulla croce e la conseguenza inumazione nel sepolcro, il ricordo del figlio di Dio, si dissolverà per sempre. Abbandonato dai discepoli e rinnegato dagli amici, questo pensiero sembra attraversare tutti i presenti. Inconsapevoli dei futuri sviluppi.

La tonalità del dipinti vira dall’arancione caldo fino al giallo sporco dell’incarnato del Cristo. Solo San Giovanni Evangelista, posizionato in secondo piano rivela una tavolozza in parte accesa, con il mantello rosso che sfonda il centro della tela, rivaleggiando per intensità con il bianco del sudario, del copricapo della Vergine e delle maniche di Maria di Cleofa.

A dispetto dei biografi antichi che consideravano Caravaggio ignorare la lezione tratta dall’antichità classica al fine di favorire la sua carica rivoluzionaria, in questo caso egli rivela l’attenzione per l’arte greca e romana dei sarcofagi, mediata da Raffaello e Tiziano.

Sono però Giovanni Gerolamo Savoldo ed il suo maestro Simone Pederzano ad ispirarlo maggiormente.

In particolare la Deposizione, conosciuta anche come la Pietà del Pederzano conservata presso la chiesa di San Fedele a Milano, a tracciare il solco poi seguito dal celebre allievo.

La pietra tombale viene citata allo stesso modo anche se il Caravaggio sposta il punto di vista, schiacciando lo spettatore in basso, con una invenzione scenica che contribuisce ad esaltare il senso drammatico.

La pala di Simone Pederzano è databile alla seconda metà degli anni Ottanta del Cinquecento. 

Per ritornare alle correlazioni tra padre Lorenzo Biango, l’arcivescovo Federico Borromeo e gli ambienti di Milano e Roma, nella basilica di San Marco a Milano si trova ancora oggi una copia della Deposizione del Caravaggio. L’opera considerata coeva non è da escludere che sia frutto dell’occhio lungo di uno dei due alti prelati, fatta copiare in loco e quindi trasferita nella città dei Navigli. Il maggiore indiziato come copista può ritenersi Louis Finson (Bruges 1580 – Amstedam 1617), il quale è autore certo di latri opere del Caravaggio, tra cui due versione della Maddalena Penitente.

Il pittore fiammingo giunge a Roma nel 1610, l’anno della morte del Caravaggio, quando la sua fama esplode tra i contemporanei.

Il rapporto tra il cardinale Federico Borromeo ed il Caravaggio, se ce ne fosse bisogno, è provato dal Canestro di frutta, che il pittore esegue sicuramente a Roma e giunge nella collezione del prelato almeno dal 1607.

Nel 1595 il cardinale viene nominato arcivescovo di Milano. Non si dimentica però dell’artista lombardo lontano e si propone di affidargli un incarico importante.

La molla per richiedere la piccola tela con la natura morta è la rivalità con un suo consigliere che può vantare nella propria collezione un bellissimo quadro di Ambrogio Figino con delle Pesche.

Il capolavoro del Caravaggio avrebbe trionfato nella gara, sfidando il naturalismo dei suoi predecessori e posizionandosi tra i vertici della pittura di inizio Seicento.

All’arcivescovo, mente brillante ed autonoma, non interessano le simbologie morali e la dietrologie delle malelingue, ma è interessato esclusivamente alla bellezza estetica. Questo concetto passa nel libro dedicato alla sua collezione intitolato “Museum”. Una sorta di testamento spirituale in cui poca importanza riveste il fatto di scambiare per errore, i frutti per fiori.

I contatti tra Federico Borromeo, uomo probo, colto e letterato con il Caravaggio, sanguigno e dedito alle risse, non finisce qui.

Nel 1606 Caravaggio dipinge la Maddalena in estasi, durante la sua fuga da Roma per avere ucciso un uomo ed essere stato condannato alla decapitazione.

Nella stessa estate del 1606 muore Caterina Vannini. Nata a Siena tra il 1558 ed il 1662, sembra appartenere ad una famiglia di umili origini.

Rimasta orfana molto piccola viene avviata precocemente alla prostituzione. Durante la pubertà giunge a Roma con la madre, per continuare a concedersi ad amanti fissi, tra cui spicca un personaggio di altissimo lignaggio rimasto ignoto.

Nel 1573 papa Gregorio XIII, ordina l’arresto di tutte le meretrici residenti ai di fuori della zona a loro riservata, l’Orto di San Biagio. Caterina cade nella trappola e viene rimpatriata a Siena tra il 1574 ed il 1575.. Nel città toscana abita con la madre nella contrada della Turtuca e nel 1575 si converte dopo avere assistito ad una predica su Santa Maria Maddalena, tenuta da un frate, nella chiesa di Sant’Agostino, la parrocchia di appartenenza. Dopo essersi spogliata degli abiti lussuosi e dei gioielli comincia un periodo di penitenza e mortificazione, vestendosi con un saio di foggia francescana.

Nel 1581 riceve l’abito di terziaria domenicana e tre anni dopo riceve i voti, rifiutati in precedenza più volte.

Vive nel monastero senese di Santa Maria delle Grazie, in una cella angusta per espiare le proprie colpe. Da tempo è affetta da una malattia che l’avrebbe condotta fino alla morte, l’idropisia.

La personalità di Caterina era affascinante, indomabile e sole al contempo e la sua storia tra prostituzione e santità, desta l’attenzione dell’arcivescovo di Milano. Tra i due si sviluppa un fitto carteggio che costringe addirittura l’alto prelato, a procedere con la distruzione di alcune lettere.

Scrive il Borromeo “Benedetti quei chiostri nei cui parlatori i ragni possono stendere tranquillamente le loro tele fra le grate”. La donna replica prontamente “Aspetto in breve di rivederla a questa gratina che ogni ora mi sembra millanni”.

La Maddalena in estasi, è un chiaro riferimento a Caterina Vannini, ma non è dato sapere se l’opera e stata voluta dal cardinale oppure è idea originale del Caravaggio, che con le prostitute ed i bordelli romani, era stato sicuramente avvezzo.

Della Maddalena in estasi abbiamo diverse copie. In giro per il mondo almeno otto, a partire dalla Maddlena Klain di collezione privata romana, già esposta in Vaticano e che da presso mostra tutti i suoi limiti.

Lo stesso già citato Louis Fuison, ne dipinge più di una versione.

Mina Gregori celebre storica dell’arte, ha recentemente riconosciuto la versione originale del dipinto in collezione privata di una importante famiglia con ramificazioni a livello europeo. Sono i particolari ad evidenziare l’enorme qualità tecnica dell’opera. A cominciare dal ventre gonfio che nelle altre versioni è quasi assente o appena accennato, e che rivela la malattia della donna ed il riferimento diretto a Caterina Vannini.

L’originalità si conferma con l’analisi dell’incarnato del corpo frutto di tocchi di pennello dai toni modulati, l’intensità del volto, i posi forti e le mani dai lineamenti vividi. L’ombra che oscura solo metà della dita, infine rappresenta una firma per attribuire con certezza il dipinto a Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.

Speriamo che il capolavoro possa essere osservato a breve in una mostra dedicata.