GAUDENZIO FERRARI IL GENIO DEL RINASCIMENTO PIEMONTESE
Gaudenzio Ferrari nasce a Valduggia in Val Sesia, assoggettata al tempo al ducato di Milano, in una data presunta intorno al 1480.
Il contesto culturale e formativo passa soprattutto dalla figura di Giovanni Martino Spanzotti, alle opere presenti sul territorio del maestro casalese. Primo fra tutti il sontuoso ciclo a fresco delle Storie di Cristo della chiesa di San Bernardino ad Ivrea.
Il Siniscalco del Marchese Guglielmo VIII, Marco Scarognino, è il committente del polittico Madonna con il Bambino, tra San Giovanni Battista e San Francesco con il donatore Marco Scarognino, che arriva nella cappella della chiesa dei francescani a Varallo. L’artista è colui che convenzionalmente risponde al nome di Maestro di Crea, conosciuto soprattutto per essere l’autore degli affreschi della Cappella di Santa Margherita nel santuario di Crea, voluti appunto dal Marchese Guglielmo VIII. Oggi la critica ha individuato dietro l’appellativo di Maestro di Crea la figura di Francesco Spanzotti, fratello di Giovanni Martino.
Dalla chiesa di San Giacomo a Rimasco in val Sermenza, giunge la Madonna con il Bambino di Aimo Volpi, cognato di Giovanni Martino Spanzotti. Di qualche anno più tarda la tavola pare fare i conti con i seguaci milanesi di Leonardo, conosciuto mediante la diffusione di riproduzioni grafiche.
Con l’ultimo decennio del Quattrocento si avviano i lavori del Sacro Monte di Varallo. Il 14 aprile 1493 Bernardino Caimi riceve in donazione la chiesa e il convento di Santa Maria delle Grazie e quanto già eretto “super parietem”, in cima al monte, tra cui la cappella “subtus Crucem” da cui arriva il gruppo del Compianto sul Cristo morto (Pietra dell’unzione). Le sculture lignee del complesso sono attribuite alla bottega milanese di Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati mentre la luce pittorica che le avvolge fa pensare nuovamente al gusto spanzottiano. Ancora più antico e non attribuibile ai De Donati è il Cristo calato giù dalla basilica dell’Assunta, ma per secoli e fino al 1980 presente all’aperto in cima alla fontana davanti al santuario.
Secondo la testimonianza tardo cinquecentesca, ma affidabile del Lomazzo,Gaudenzio si forma nella bottega milanese di Stefano Scotti, anche se manca ogni riferimento documentario. Nella città ducale ha modo di immergersi nel clima artistico più aggiornato. In particolare nell’ultimo ventennio del secolo è presente Leonardo da Vinci, che si distingue per una particolare sensibilità ai moti dell’animo umano ed alla riproduzione dei caratteri grotteschi. Ma è soprattutto il Bramantino, allievo di Donato Bramante da Urbino, ad influenzarne il gusto e successivamente lo stile. L’artista milanese ha una attenzione particolare per il senso prospettico a cui inserisce un’astrazione quasi metafisica.
Gli esordi coincidono con l’attività dello Scotti nelle sue valli natali ed in particolare con la Cappella del Sepolcro della Vergine al Sacro Monte di Varallo, i cui affreschi sono ricostruiti nella Pinacoteca di Varallo come erano presenti “super parietem” risalenti al 1495c. Si distinguono le scene della Assunzione della Vergine, Apostoli e Angeli cantori, Apostoli ed Angeli Cantori, Concerto angelico e Pesaggio. Il ciclo decorativo esprime una cultura milanese aggiornata dai fatti ferraresi che sollecitano gli artisti lombardi fino agli anni Settanta del Quattrocento e quindi successivamente dal nuovo linguaggio bramantesco. Viene da pensare che il percorso da apprendista di bottega sia iniziato proprio con l’incontro della bottega e del suo maestro proprio a Varallo e che quindi si sia protratto nel tempo a Milano, per poi ritornare periodicamente al lavoro nella val Sesia.
Ai primi anni del secolo e comunque prima del 1506, si situa un suo viaggio a Roma con probabile soggiorno a Firenze ed in altre città lungo il percorso. Nella città eterna scopre il mondo antico che si rivela nel sottosuolo e le fantastiche decorazioni “a grottesca” che sono assimilate e rivisitate dagli artisti rinascimentali e rimbalzano oltre che nelle suggestioni del Perugino, anche nella sale romane del Pinturicchio, nell’Orvieto del Signorelli e nelle creazioni di Filippino Lippi. Del pittore umbro in particolare, ha modo di osservare e studiare a fondo le opere le quali sono presenti anche alla Certosa di Pavia ed in Sant’Agostino a Cremona. Negli scritti ancora del Lomazzo il Perugino è definito più volte come “maestro di Gaudenzio”.
Compagni di viaggio si presume potessero essere il Bramantino stesso ed Eusebio Ferrari. Purtroppo nessun documento è stato ritrovato per illuminare questo interessante periodo, importantissimo per gli sviluppi pittorici dei vari personaggi implicati. più volte come “maestro di Gaudenzio”.
In realtà Gaudenzio sembra riuscire a fondere in una unica complessa soluzione una serie enorme di influenze in parte provate a Roma nella prima parte del pontificato di Giulio II. Perugino, Filippino Lippi, Bramante, Bramantino, la cultura prospettica lombarda, le decorazioni a grottesca fino alla pittura del pittore provenzale Josse Lieferinxe passato per le esperienze milanesi, e ravvisabile nel digradare del pavimento a losanghe.
Con questa mole di esperienze pittoriche registrate e maturate nella Cappella Scarognino a Varallo e nel Polittico di Sant’Anna a Vercelli, tra il 1507 ed il 1509, avviene per la prima volta la frattura dell’unità formale spanzottiana-defendentesca in area vercellese. L’influenza di Leonardo ed in particolare del secondo periodo fiorentino e milanese appare sempre sotto traccia. Nella figura matronale di Maria che raccoglie il bambino dalle braccia di Sant’Anna, Gaudenzio mostra di conoscere la tavola di Leonardo Sant’Anna Metterza oggi al Louvre e che era forse nota a Milano dal 1506 e che però avrebbe potuto osservare già a Firenze. Il capolavoro di Leonardo comparirà a Casale in una data imprecisata forse a metà del Cinquecento con il ritorno di Federico Melzi dalla Francia e ci rimane fino al 1639 con la visita nella capitale ducale del cardinale Richelieu che la requisirà per donarla al re.
Dalla tradizione piemontese dello Spanzotti di Ivrea, giunge quindi alle novità del panorama milanese con le citazioni del favorito Bramantino, ma anche i volti e le turbe psicologiche di Leonardo. Arriva ancora a citare la pittura centro italiana del Perugino, del Pinturicchio e del Signorelli fino a soffermarsi sulle stampe in distribuzione al tempo di opere del Mantegna e del Durer. Trova il modo anche di citare liberamente il gruppo del Laocoonte, ritrovato a Roma nel 1506.
L’insieme delle suggestioni culturali si evolvono nel pennello di Gaudenzio accompagnate da una vena creativa importante ed originale che ne permettono il riconoscimento di una scuola pittorica autonoma in ambito piemontese e ne designano il successo anche nella difficile ed affollata piazza milanese.
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