Guglielmo Caccia detto Il Moncalvo – La sagrestia della chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia
La sagrestia è il primo ambiente edificato nella nuova chiesa dedicata a Sant’Alessandro in Zebedia a Milano. Il grande ambiente per alcuni ha funzionato come una vera e propria chiesa ospitando gli appuntamenti liturgici. Nel 1611 i padri barnabiti vi hanno celebrato le celebrazioni per la santificazione di Carlo Borromeo, avvenuta l’anno precedente.
Sull’altare compare una importante pala dedicata all’Assunzione della Vergine, eseguita da Bernardino Campi, attorno agli anni Settanta e Ottanta del secolo precedente, quindi molto prima della edificazione della nuova chiesa il cui progetto risale al 1601. Molto probabilmente la grande tela aveva trovato iniziale ospitalità ancora nell’antica chiesa di Sant’Alessandro.
L’altare è inserito in una vera e propria piccola abside riccamente decorata da Guglielmo Caccia, come la maggior parte dei restanti spazi a disposizione nella sagrestia.
Nella parete di sinistra è posizionato l’affresco con l’Annunciazione, in cui la Vergine ricalca i moduli decorativi cacciani. L’angelo annunciante risulta particolarmente arrembante in considerazione del poco spazio disponibile. La colomba dello Spirito Santo illumina dall’alto tutta la scena con la propagazione di una luce gialla che cala tagliente sulle figure, creando anche spazi più in ombra.
Appena sopra in un piccolo rettangolo si possono osservare Due Putti che sembrano chiamati a presenziare alla scena sottostante.
Nella parete opposta, con lo stesso gioco cromatico compare l’affresco della Visitazione. I volumi resi con senso plastico contribuiscono a determinare il brano pittorico come uno dei meglio riusciti, dell’intero impianto decorativo.
Anche in questo caso al disopra vigilano Due Putti, assisi sulle nuvole.
All’apice della struttura dell’altare Guglielmo dipinge il Padre Eterno, con la mano destra in alto in segno di benedizione e la sinistra appoggiata alla sfera che rappresenta il mondo. Il soggetto è stato ripetuto più volte nel passato, soprattutto in occasione dei complessi decorativi con la Madonna del Rosario ed i Quindici Misteri.
Ancora più in alto è sistemata una serie di Sette putti, ognuno nel proprio riquadro con lo splendido fondo azzurro, che appaiono come una anticipazione di quelli dipinti successivamente nel sottarco della cappella della Natività.
Ai lati dell’orologio sono magnifici i Due putti, intenti a scostare le tende, utilizzate come sipari per dividere il mondo terrestre da quello celeste. Ambienti diversi, ma in qualche modo comunicanti. Concetto evidentemente caro ai barnabiti e più volte riproposto.
Tale suggestione era in particolare cara a Carlo Borromeo che aveva cercato di infondere i dettami della controriforma nei termini più consoni alla comprensione dei fedeli. L’idea di continuità tra terra e cielo, era stato ritenuto infatti uno dei concetti più vividi per fare comprendere la vita oltre alla morte e la conseguente necessità di guadagnarsi con il comportamento ispirato alla Bibbia ed alla madre chiesa, il passaggio verso l’alto, verso il paradiso.
In corrispondenza laterale del Padre Eterno sono dipinti due riquadri con Angeli Musicanti.
Sulla volta della sagrestia nei grandi spazi disponibili, Guglielmo è chiamato ad affrescare tre scomparti dedicati alla Vergine, regina della Terra e del Cielo. Evidenziando la doppia natura della madre di Cristo, umana e santa.
In analisi al centro in un grande riquadro un tripudio di putti sono distribuiti tutti intorno ad uno di loro che regge un cartiglio di colore verde con la scritta in bianco “Veni coronaberis”, “Vieni e sarai incoronata”.
Nello spazio verso l’ingresso la Regina del Cielo, dei putti sono dipinti nei quatto angoli, vagamente giocosi, mentre al centro un angelo con il giglio nella mano destra e la corona in quella sinistra volge lo sguardo verso l’alto, in omaggio alla Vergine Regina del Cielo.
Nel corrispondente riquadro verso l’altare, la Regina della Terra, i soliti putti giocosi circonda l’angelo centrale che questa volta regge con la mano sinistra la palma del martirio ed in quella destra la corona. Il suo sguardo è rivolto verso il basso, in omaggio alla Vergine Regina della Terra.
Nelle nicchie del sotto volta per tutta l’estensione, sono dipinte Donne dell’Antico Testamento e le figure di quattro Profeti Maggiori.
Sopra alla porta invece Guglielmo realizza Davide con l’arpa.
Nel grande complesso della sagrestia della chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia, sorprende la vastità della superficie affrescata. Guglielmo Caccia affronta il lavoro nella seconda parte del 1615, appena giunto in pianta stabile a Milano, con la famiglia, la figlia Theodora e tutta la attrezzatura, tele, pennelli, colori, cartoni e disegni che costituivano il vero tesoro di ogni importante bottega del tempo. Non sappiamo se il pittore si sia fatto accompagnare anche da uno o più collaboratori presenti già a Moncalvo. Sicuramente nella Milano di inizio Seicento con la vicinanza di padre Lorenzo Binago, non doveva rappresentare un ostacolo assumere aiutanti sia a livello di garzoni ed operai che di aspiranti pittori. Come già sostenuto nel podcast dedicato in generale alla chiesa, appare plausibile la presenza fin da subito accanto a Guglielmo, del giovanissimo Daniele Crespi il quale all’epoca doveva avere circa l’età di quindici anni, essendo presumibilmente nato intorno al 1600.
La particolare precocità dell’apprendista e la vicinanza umana oltre che artistica intercorsa tra i due, è documentata anche dal quadro del Crespi, che Guglielmo porterà con se alla fine del suo percorso milanese, poi ritrovato nell’asse ereditario anni dopo.
Il brano affrescato da Daniele Crespi con l’Epifania, può testimoniare l’alta considerazione in cui il pittore era tenuto sia da Guglielmo che dai padri barnabiti. E’ probabile che l’affresco gli sia stato assegnato in tempo appena successivo, tra il 1618 ed il 1620, quando Daniele aveva ormai concluso l’iter di apprendista e raggiunto una prima maturità.
L’intero impianto decorativo della sagrestia dipinto dal pittore di Moncalvo, rivela la reiterazione dei soggetti più consueti al suo esperto pennello. Nell’impatto con il periodo milanese Guglielmo si basa sull’utilizzo dei cartoni in dotazione della bottega, senza cercare nuovi moduli compositivi, che ne avrebbero distino il lavoro nei mesi appena successivi, come per esempio nella vicina cappella della Natività.
La spiegazione può trovarsi nella evidente richiesta di padre Lorenzo Binago, che sembra gradire in modo particolare la mano del pittore, soprattutto nella rappresentazione dei numerosi putti, che donano all’insieme un senso gradevole di leggerezza quasi umoristica.
Anche il tempo ristretto a ridosso della brutta stagione incipiente, deve avere costretto artista e committente a correre, utilizzando i cartoni già pronti e l’esperienza pregressa di Guglielmo che ha nei putti un vero e proprio marchio di fabbrica.
La sagrestia di Sant’Alessandro in Zebedia oggi può rivelare anche un ulteriore aspetto interessante per i cultori dell’arte e della sua storia. A parte palazzo Tizzoni a Vercelli, infatti la decorazione può contribuire al meglio a fare comprendere come doveva essere la Grande Galleria Ducale di Torino, proprio in quegli anni, tra il 1607 ed il 1659, anno della completa distruzione a causa di un incendio. Lo stesso Guglielmo Caccia era stato chiamato dal duca Carlo Emanuele I, per lavorare alla decorazione del complesso sotto la direzione di Federico Zuccari, tra il 1605 ed il 1607. Divenendo anche il pittore di riferimento.
Oltre a diverse scene importanti a Torino, Guglielmo si deve essere impegnato nei raccordi pittorici dei diversi spazi proprio con la rappresentazione di una pletora di putti, giocosi e sbarazzini come vivaci bambini in carne ed ossa.
Per il pittore monferrino in quegli anni la Grande Galleria Ducale di Torino, doveva rappresentare un formidabile biglietto da visita.
Anche lo stesso padre Lorenzo Binago, nei suoi costanti viaggi di lavoro doveva avere trovato modo di visitare il magnifico complesso sabaudo e quindi avere ben impresso nella mente le possibilità decorative di Guglielmo. Infatti almeno inizialmente a Sant’Alessandro, il Caccia è chiamato esclusivamente ad occuparsi di decorazioni a fresco.
Immediatamente sopra alla porta di raccordo con la cappella della Natività, si può osservare il dipinto di cui ho già parlato della Epifania di Daniele Crespi. I personaggi sono rappresentati in atteggiamenti al limite dell’esagerato, che contribuiscono all’intera scena di apparire tutt’altro che statica. I personaggi in primo piano sono piegati in modo esasperato, ed anche la Vergine sembra adeguarsi alla tensione. Singolare è la postura del re in basso, il quale appare combattuto tra la necessità di avvicinarsi per porgere il dono e nel contempo quella di ritrarsi, imbarazzato, al cospetto del piccolo Gesù.
Una serie di affreschi riempiono tutti gli spazi lasciati liberi dai precedenti dipinti. Rappresentano Scene Naturali, come boschi, fiumi, cascate, paesaggi in rovina in cui compaiono pochi personaggi.
Sulla parete ovest e nord sono istoriati tredici episodi dell’Infanzia di Gesù e della Vita della Madonna.
Autori dell’intero ciclo sono Giovanni Battista e Giovanni Mauro della Rovere, detti i Fiamminghini a causa del padre originario di Anversa.
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